Mediazione interculturale
Attività
A cosa serve la mediazione interculturale?
La mediazione interculturale facilita la comunicazione, linguistica e culturale, tra due parti connotate da una cultura di provenienza differente per permettere che comunichino in maniera efficace, raggiungano un accordo o superino un contrasto.
Il mediatore interculturale è il cardine di questo processo poiché lui stesso è lo strumento di sintesi tra diverse componenti identitarie, culturali, religiose, etniche ed è così in grado di svelare i comportamenti, gli atteggiamenti e le pratiche che, denotate dalla cultura di provenienza, possono essere fonte di incomprensioni e ostacoli ai processi di inclusione sociale.
Muovendo da tali premesse, la figura del mediatore interculturale si è progressivamente specializzata e qualificata, assolvendo a molteplici funzioni: interpretariato linguistico, comunicazione, informazione, orientamento, accompagnamento, assistenza, formazione, ricerca, consulenza, progettazione, gestione del conflitto.
Che cosa fa la mediazione interculturale?
Facilita la comunicazione: il mediatore non è un mero traduttore ma interpreta la comunicazione verbale e non verbale riferendosi ai contesti in cui si opera (paese di origine, paese ospitante e servizio).
Ammortizza i conflitti: aiuta le parti a raggiungere un accordo in vista della migliore soluzione che tenga conto dei bisogni di tutti e punta alla prevenzione e all’elaborazione della conflittualità e a guardare agli “stranieri” come agenti attivi nella costruzione di una società interculturale.
Mostra i possibili differenti punti di vista degli individui, per arrivare a creare insieme degli spazi di dialogo e di soluzione di problematiche. Diversamente si rischierebbe di delimitare le persone entro spazi chiusi e rigidi stereotipi. Per questo la mediazione promuove la conoscenza dei reciproci modelli cognitivi e di comportamento in una prospettiva di valorizzazione, modificazione e scambio.
Ambiti
Fucina di integrazione per antonomasia dove si crescono cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri, la scuola è stato il primo ambito in cui si è palesato l’impatto sociale dello strutturarsi del fenomeno migratorio nazionale e locale.
Dalle scuole sono giunte agli inizi del 2000 le prime richieste per potersi avvalere di figure professionali che facilitassero l’inclusione sociale e scolastica dei nuovi cittadini stranieri, portatori di lingue, tradizioni e valori diversi da quelli italiani. Sono state proprio le stringenti richieste delle scuole a stimolare la fondazione della Cooperativa Mondo Aperto e in questi anni abbiamo lavorato in strettissima collaborazione con i suoi operatori per strutturare dei percorsi di accoglienza che potessero avvalersi di metodologie all’avanguardia, sperimentate sui bisogni effettivi del territorio e dei singoli cittadini.
In questi anni si sono stillati dei protocolli di accoglienza, si sono strette convenzioni che coinvolgono la nostra realtà, i comuni locali e le scuole; si sono attivati dei percorsi di formazione condivisi per promuovere il valore dell’integrazione e diffondere strumenti condivisi che stimolino e facilitino l’inclusione sociale di ogni minore straniero contrastando così anche il fenomeno del drop out scolastico.
Obiettivo generale dei servizi di mediazione interculturale a favore degli utenti in carico ai Servizi Sociali che vivono situazioni di marginalità, è quello di favorire la loro inclusione sociale attraverso la definizione di metodologie di accoglienza in grado di tenere conto delle specificità individuali e dei nuclei famigliari e la promozione di attività a carattere culturale che, influenzando positivamente la comunità nel suo complesso, possano contribuire a creare un contesto multiculturale dominato dal rispetto reciproco.
Per ogni utente preso in carico il mediatore definisce, in piena sinergia con l’operatore sociale, un progetto individuale di accompagnamento e reinserimento nel territorio locale durante il quale si approfondisce la conoscenza dei servizi locali e si promuovono autonomia e resilienza.
Quando i concetti di salute, corpo, malattia e cura vengono presentati all’interno di un contesto culturale diverso da quello occidentale assumono significati differenti da quelli che noi gli attribuiamo.
In questo ambito il mediatore interculturale va ad inserirsi nella complessa ed esclusiva relazione curante-paziente poiché il medico ha la necessità di interpretare correttamente il malessere che il paziente lamenta o potrebbe aver bisogno di trattare una questione che attiene a sfere emotivamente rilevanti, quali quella della sessualità, della malattia terminale o della disabilità.
Al tempo stesso l’utenza che richiede i servizi sanitari necessita più che mai il sostegno della mediazione interculturale al fine di poter comprendere i percorsi di cura proposti e necessari.
Nella relazione curante-paziente l’efficacia dell’intervento è fortemente dipendente da una piena collaborazione e fiducia tra le parti ed è qui che il mediatore interculturale si inserisce: con una traduzione dei bisogni degli utenti e delle risposte individuate dagli operatori che non sia una mera traduzione linguistica.
Attualmente presso l’ASL N. 5 è attiva una convenzione che permette a medici e pazienti di richiedere l’intervento del mediatore interculturale.
Nei consultori familiari e nei centri di salute mentale le funzioni del mediatore sono di vario tipo: assistenza nell’anamnesi, comunicazione della diagnosi, orientamento per le terapie, decodifica dei significati e delle percezioni culturalmente determinate della malattia e della cura.
Mondo Aperto sin dal 2010 collabora con il Centro Antiviolenza “Irene” della Spezia.
Nell’Italia contemporanea, infatti, i centri antiviolenza si trovano, sempre più spesso, ad interfacciarsi con un’utenza proveniente da Paesi stranieri.
La figura della donna, dei suoi diritti e del suo ruolo sociale varia molto a seconda della “formazione” culturale diffusa nel Paese di origine e, spesso, anche le caratteristiche delle vittime di violenza provenienti da Paesi stranieri (età anagrafica, grado di scolarizzazione, lingua parlata, ecc.) sono profondamente diverse da quelle presentate da vittime autoctone dalla nascita.
La presa in carico delle vittime di origine straniera è, quindi, diversa rispetto a quella utilizzata per la presa in carico di donne e minori di cittadinanza italiana. Per l’utenza straniera, oltre alle difficoltà “tipiche” del fenomeno, si aggiungono elementi culturali che, senza la figura del mediatore interculturale, sarebbero ben difficili o impossibili da affrontare. Il servizio di mediazione va infatti oltre la mera semplificazione linguistica; esso è la chiave fondamentale e necessaria per l’opera di traduzione “culturale” tra la vittima e l’operatore che effettua la presa in carico. La presenza del mediatore è vitale per la creazione del rapporto di fiducia tra i soggetti coinvolti nel percorso: solo se c’è comprensione reciproca tra il centro e la vittima quest’ultima si sentirà accolta e, insieme agli operatori, potrà provare ad uscire dalla condizione di sudditanza nella quale essa si trova immersa.
La creazione di un solido rapporto di comprensione reciproca, pertanto, è la premessa fondamentale per l’instaurazione di una risposta efficace la quale permetterà anche ad altre vittime di trovare il coraggio di denunciare ed emergere dalla loro condizione di sudditanza. La figura del mediatore all’interno del centro antiviolenza assume, infatti, un ruolo rilevate anche sulle comunità di appartenenza delle persone coinvolte fungendo da perno attrattivo per tutte quelle altre soluzioni di difficoltà presenti sul territorio che sapranno di poter trovare un aiuto effettivo.
La Cooperativa Mondo Aperto ha collaborato per molti anni con l’Istituto Penale Minorile di Pontremoli con progetti volti a favorire la rieducazione delle ragazze ospiti grazie ad un percorso in grado di disciplinarne le relazioni sociali durante la permanenza in Istituto, sia con il gruppo delle pari, sia con gli operatori.
I laboratori nonché i colloqui con le ragazze hanno messo in luce la necessità di attivare strategie ad hoc la cui efficacia è stata tarata proprio all’interno della particolare compagine dell’Istituto, composta principalmente (e in alcuni periodi quasi esclusivamente) da ragazze straniere.
La metodologia classica, fondamento di questo percorso, viene arricchita da un approccio transculturale che favorisca la comunicazione tra ragazze e operatori e che faciliti le dinamiche relazionali all’interno del gruppo delle ragazze. In quest’ottica l’incontro con la diversità culturale rappresenta innanzitutto l’inizio della messa in discussione di sé, del proprio gruppo di appartenenza, al fine di fare posto alla comprensione di ciò che per loro è il diverso. Diminuire le distanze tra “noi” e “loro” appare il presupposto indispensabile per attivare un percorso educativo che possa ambire a lasciare tracce anche terminata l’esperienza del carcere.
Il mediatore interculturale segue il Richiedente Protezione Internazionale in tutte le fasi del suo soggiorno nel Centro di Accoglienza e del suo percorso di ridefinizione identitaria: dalla prima soddisfazione dei bisogni fisiologici – mangiare, dormire e cure sanitarie – alle pratiche amministrative e burocratiche per l’ottenimento dello status di rifugiato fino al recupero di se stessi come persone, persone con un nome, un’identità, una storia e delle radici che devono essere recuperate e con cui bisogna riconciliarsi.
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