“Afghanistan, interessa ancora?”: un evento organizzato da Mondo Aperto, in collaborazione con l’associazione Amici della Spezia, il giorno sabato 13 novembre alla Spezia. L’evento è stato un momento di scambio interculturale così come di informazione, conoscenza e dibattito riguardo la situazione passata e attuale in Afghanistan per non essere indifferenti a ciò che accade nel mondo.

Sul palco i tre relatori, Mario Mauro, già Ministro della Difesa, Farhad Bitani, scrittore afghano e Domenico Quirico, giornalista e inviato di guerra della Stampa, hanno risposto alle domande poste dalla presidente di Mondo Aperto e del pubblico in sala riguardo l’Afghanistan donando ai presenti in sala un quadro avvincente e istruttivo su questioni calde e attuali.

La domanda di apertura è quella del titolo dell’evento: «l’Afghanistan interessa ancora?» e da qui parte l’intervento di Mario Mauro che intervalla il racconto della sua esperienza di Ministero della Difesa con una dettagliata ricostruzione dello scenario geopolitico passato e presente dell’Afghanistan «da sempre crocevia tra Oriente e Occidente», dalla creazione della Linea Durand agli ultimi tragici eventi di agosto 2021. Non mancano i racconti presi da quella che definisce la “storia degli umili” di manzoniana memoria, delle sofferenze del popolo afghano o degli italiani che in Afghanistan hanno sacrificato qualcosa (il bersagliere Giuseppe la Rosa sacrificatosi per salvare i suoi compagni, l’atleta paraolimpica Monica Contraffatto che in Afghanistan ha perso le gambe). La risposta alla domanda è una risposta personale, «l’Afghanistan a me interessa ancora, perché queste storie non devono essere dimenticate e perché comprendere ciò che succede nel mondo ci rende più umani».

Domenico Quirico prende poi la parola per porre in primo piano il problema “morale” che l’Afghanistan pone a tutti noi, agli statunitensi e a tutte le nazioni che li hanno seguiti e hanno partecipato, in questi 20 anni, ad un processo di “modernizzazione autoritaria” a cui tanti afghani hanno realmente creduto, iniziando ad abbandonare la sharia e iniziando a vivere secondo usi più “occidentali” per ritrovarsi, dopo 20 anni, ingannati da false promesse, esattamente al punto di partenza. La frase che ha annunciato il ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan ad agosto 2021: «gli afghani non costituiscono più un interesse americano» pone l’interrogativo morale che da secoli ci segue: la scelta tra l’utile e il giusto – incompatibili nella prospettiva del potere («le stelle sono tanto distanti dalla terra e la fiamma dall’acqua del mare quanto l’utile da ciò che è retto» Lucano, Pharsalia) – ma che nella prospettiva morale devono essere sempre associati. Il mestiere di reporter per Quirico sta proprio nel cercare i luoghi in cui questa scelta – tra l’utile e il giusto – coinvolge intere masse umane: la narrazione di queste storie è il dovere morale e la base del giornalismo.

L’intervento successivo, di Farhad Bitani, si arricchisce di tutti i colori di chi, oltre a possedere una conoscenza approfondita della Storia e delle dinamiche del paese che è stato la sua patria per molti anni, ha vissuto sulla sua pelle questa Storia, intrecciandola alle sue vicende personali. Bitani ci apre gli occhi sugli errori commessi dal governo di Hamid Karzai, sulla corruzione dilagante, sul peso del narcotraffico e della criminalità organizzata negli affari di stato degli ultimi 20 anni. La prova schiacciante di questo malgoverno dal suo punto di vista è molto semplice: «se l’80% della popolazione afghana è d’accordo con i talebani… se il popolo disprezza la democrazia a tal punto… che cosa è stato fatto? Dovevamo educare e istruire il popolo afghano… Un popolo cresciuto nelle scuole coraniche ed educato alla sharia, come potevano da un giorno all’altro capire la democrazia? Con le armi e le bombe?». Il grande tema che esce è quello dell’educazione, dell’istruzione, della libertà della donna come elementi di cambiamento e di crescita del paese. E qui si collega la sua esperienza personale, il suo passato di fondamentalista islamico, uscito dalle scuole coraniche, che arriva in Italia «paese di infedeli» per studiare all’accademia militare, odiando l’occidentale perché “diverso”, e di come invece avviene la sua trasformazione, la sua apertura verso l’ “altro”, il “nemico”, il “diverso”: attraverso quei piccoli gesti quotidiani di amore, rispetto e generosità che fanno capire che la vita può essere diversa, può essere vissuta nel rispetto reciproco, nella condivisione e nell’interesse per l’altro, nella ricerca della pace e del dialogo interculturale e interreligioso.

L’evento si chiude com’era cominciato, sulle note del pianista Niccolò Ricci e del sassofonista Thomas Luti che, grazie al potere evocativo della musica, creano un momento di raccoglimento finale in cui riflettere su tutte le parole della giornata e sulla verità – finalmente toccata nel suo senso etimologico, dal greco aletheia, di reale “svelamento”, “rivelazione”.

Ciò che rimane saldo, anche nei giorni successivi, è la metafora usata da Farhad per parlare dell’uomo e del suo cuore: «il cuore dell’uomo nasce bianco, se ha fortuna nella sua vita il suo cuore rimane bianco, se ha sfortuna – come per gli afghani – il cuore diventa nero ma c’è un piccolo punto del cuore che rimane sempre bianco». Ed è proprio attraverso l’incontro, il dialogo con il diverso, i piccoli gesti di rispetto e gentilezza, la condivisione e la compartecipazione alle vicende altrui – e dunque anche grazie a momenti come questo – che questo piccolo punto bianco può tornare a ingrandirsi.

Questo “cuore bianco” deve guidare il singolo individuo così come le istituzioni, per orientare fatti e comportamenti. Auspichiamo dunque che questo sia solo l’inizio di un percorso di sensibilizzazione e conoscenza su queste tematiche perché, senza alcun dubbio, siamo usciti dall’evento con alcune risposte ma con ancora nuove e urgenti domande.